domenica 14 settembre 2014

Panem et Circenses

“Fu Giovenale, un poeta romano, a coniare questo sistema, meccanismo di potere influentissimo sulle masse romane. "Panem et Circenses", letteralmente "pane e giochi" era la formula del benessere popolare e quindi politico: distribuzione di generi alimentari, bagni e terme pubbliche da un lato, gladiatori, belve esotiche, corse coi carri, competizioni sportive e rappresentazioni teatrali dall'altro lato. Un vero strumento in mano agli Imperatori per sedare i malumori popolari, che col tempo ebbero voce proprio in quei luoghi di spettacolo.”
Gli antichi romani sapevano che elargito al popolo un po’ di panem et circenses lo si accontentava.
Perché mai, quindi, dovremmo stupirci se continua ad essere così anche adesso?
Oggi il popolo è, almeno in teoria, più colto di una volta e, sempre in teoria,  ha una maggiore informazione. Cosa lo spinge a chiudere spesso gli occhi davanti alla verità o a certe evidentissime contraddizioni?
Come nell’antica Roma, in questi periodi si organizzano diverse attività aperte al pubblico. Un’ottima passerella per alcuni eletti  che usano anche il danaro pubblico per pubblicizzare solo alcune aziende e/o alcuni personaggi. Questo è quello che vogliono propinarci.
I media locali continuano a pubblicare lettere e articoli sullo stato  in cui  alcune  città sono  state portate a diventare. I cittadini sono furiosi per il problema della spazzatura, della viabilità e dello stato delle strade. Montagne di rifiuti, strade ridotte ad un colabrodo. Buche a destra e a sinistra, crepe nella strada, tombini che sporgono, abbattimento delle barriere architettoniche. Il dramma è quando piove: diverse città diventano un lago e le famose crepe e i famosi crateri nell'asfalto si riempiono d'acqua perchè i tombini non assorbono quanto devono (perchè nessuno li tiene puliti!!!) o nella peggiore ci sono frane di fango incontrollabili e alluvioni che seminano terrore e lutto.
I negozianti, non bastando la crisi economica in corso, si vedono costretti a combattere con problemi logistici insormontabili. E la forza politica cosa risponde? … Nulla.
 «Stanno svendendo le città solo per ricavare un utile immediato. Sul paesaggio, sul territorio cittadino non c’è più da nutrire preoccupazione: ma autentica disperazione. Sarà una rovina irreversibile di cui soffriranno le nuove generazioni. E poi ne risentiranno la salute, l’identità, le radici stesse dei cittadini». E non solo,  si compiacciano tra sé e sé della loro forza, dei loro numeri, delle loro prospettive. Si spartiscono all’asta le città, facendo le ripartizioni di potere…
Come l’orchestra di una nave che affonda, oggi i politicanti se la suonano e se la cantano tra di loro auspicandosi  di incantarci. Mentre  l’imbarcazione  va a fondo loro se la cantano. Ma il paragone è sbagliato. Se ricordate l’evento storico anche la sua trasposizione in un famoso film, l’orchestra era fatta di umili suonatori che, pur di lenire l’angoscia dei passeggeri, suonavano fino all’ultimo. E alla fine andavano a fondo con la nave. Loro invece non vogliono andare a fondo con le città. Anzi diciamo che le città le hanno affondate proprio loro, non hanno nessuna intenzione di attutire il nostro sgomento: vogliono solo celarci la verità. Suonano  e cantano per ingannarci, ammalarci, sedurci: sono simili alle sirene dell’Odissea che trascinano i marinai fuori rotta. A differenza dei suonatori, loro sanno che alla fine troveranno sempre la scialuppa di salvataggio per se stessi.
Fuori di metafora, che ci tocchi pagare per tutte le inefficienze, incapacità e malafede della classe politica che crede di essere in prima classe e sa mettere avanti le mani per salvarsi al momento giusto. Nel paragone con la vicenda del film  c’è però qualcosa che torna, il dettaglio più triste. Sapete chi siamo noi cittadini? Siamo i passeggeri di terza classe. Quelli che comunque vada, ci rimettono. Quelli che sulla barca vivono. Quelli che pagano per mandarla avanti. Quelli che non possono tirarsi indietro. Quelli che quando la barca va a fondo, affondano. Mentre la nostra orchestrina di politicanti sarà in salvo su qualche scialuppa, diretta a festeggiare…
Viviamo in un paese dove  la democrazia è il potere del  popolo, non il potere al popolo. Questo punto è fondamentale da comprendere. Perchè ci riporta alla verità inconfutabile dei fatti: anche la democrazia è un regime che si basa su un gruppo di potere. Certamente sono votati dalla gente, ci sono più partiti, esiste la possibilità di manifestare le proprie opinioni politiche in piena libertà. Rimane il fatto che una volta votati i rappresentanti cercano di mettere in atto un programma spesso non conosciuto dai loro votanti che si fidano di altri dettagli, spesso lontani dalla politica stessa.
Nella nostra  terra esistono risorse culturali e umane di provata esperienza, capaci di dare un apporto notevole allo sviluppo ed alla crescita del nostro territorio e, conseguenzialmente , raccogliere ed interpretare  le aspettative che emergono dalla società civile.
“Pensiamoci… e auguriamoci di  non salite di nuovo sulla stessa barca”.
-ottobre 2010-

mercoledì 3 settembre 2014

Pietro Siluni, il megalomane

Capo indiscusso amante dei titoli titelsuchtig  come dicono i merkeliani.
 

Pietro Siluni dotato di una personalità aperta, disinvolta, rutilante, dinamica, cospicuo per se, avido, utopista, uno stravagante amante di continuare il suo cammino e trasformare la sua città in “ombelico del mondo” e portare il suo nome agli onori, alla fama, alla gloria; convinto di questo impegno da attuare e lasciare il segno a quanti lo hanno “lisciato" nella sua ascesi weberiana  e a quanti, invece, lo hanno più o meno lasciato a se stesso in mezzo al caos giudiziario da lui originato.

Il sentirsi solo, il non sentirsi amato da coloro che lui stesso aveva creato, lo portarono a stringersi al potere politico, a loschi figuri contabili, a coloro che alimentavano la stessa sorgente di entusiasmo irrazionale di fare onnipotente, a coloro che possedevano la grandezza di creare ricchezze e riversare intorno a se forza, emancipazione e voglia di arrivare.
Agli insegnamenti ricevuti Pietro Siluni ci mise anche del suo, dell’imponente, la perdita del senso del limite e, come tutti i megalomani,  forzo le sue cose in una dimensione che voleva superare: mutare la sua città, ma alla fine ricevette lo smacco dell’abbandono.
La moltitudine di commercialisti, ingegneri, architetti, pensatori, filosofi, medici che circondò la sua raggiera, bevve alla sua sacca, si enfatizzo delle sue idee futuribili, lo lasciarono correre alla deriva, lo aiutarono sicuramente ma per la discesa ripida senza esercitare  quell’accomodamento della “ratio” che avrebbero salvato tante altre cose.

Certo che Pietro Siluni ha contribuito al benessere di tante persone anziane, ai giovani in “erba”, alle vedove lasciate sole e alle tante fanciulle cadute in sfortuna affettiva; sicuramente ha fatto del bene. Era un’eccellenza.
Certo che Siluni ha antecedenti che parlano per  lui, persona capace che ha fatto mentre tant’altri si limitavano a guardare, a sparlare; incurante per le conseguenze di azioni possibili e impossibili. Modifica il sistema con stratagemmi che pochi osavano attuare ed “edifica”  le sue idee senza mai tralasciare  l’affetto che, nonostante tutto, ha continuato a circolare intorno a lui fatalmente disperso, frugato da una giustizia penale, civile e contabile.

Di tutto questo non bisogna comunque volergliene per quello che è stato, non bisogna  essere presuntuosi di giudicarlo per il suo modo di vedere le cose in un certo verso buono o cattivo che sia, bisogna invece ricordare degli errori culturali, dei fallimenti di quanti sono stati spettatori e non hanno sorvegliato sulle bugie, sui metodi, sui denari fugati anzi la cosa più vergognosa e che ad alimentare questo esito infatuo sono stati in tanti  e tanto benestanti, colti, professionisti  affluenti amici e collaboratori che ancora  oggi mirano a seguire le orme del “megalomane” che voleva cambiare la sua città.