mercoledì 15 aprile 2015

L’esperienza del non sapere



“La locuzione latina Quid est veritas?, tradotta letteralmente, significa "Che cosa è la verità?".
La frase si trova nella Vulgata, per la precisione nel Vangelo secondo Giovanni , ed è pronunciata da Ponzio Pilato durante il suo interrogatorio a Gesù. In questo passo Pilato chiede a Gesù di confermare la sua dichiarazione di "rendere testimonianza alla verità".  Dopo di ciò, Pilato proclama alle masse di non riscontrare in Gesù nessuna colpa.
Allora Pilato gli disse: «Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici; io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce».
Gli dice Pilato: «Che cos'è la verità?». E detto questo uscì di nuovo verso i Giudei senza neppure aspettare che il suo interlocutore provasse a rispondere  e disse loro: «Io non trovo in lui nessuna colpa».”
Di risposte c’è ne sono per quanto incuriosiscono più i pochi razionali sui “marciapiedi”, che i tanti pilati “salvagente”, che imitano il “Prefetto” romano e non prendono una posizione.  In particolare, anni di  esperienze hanno generato una sorte di classifica dei vari tipi. La “verità” più nota è quella matematica ovvero dimostrazioni logiche e controllabili da coloro che hanno una conoscenza adeguata oppure quella scientifica che, pur non essendo consolidata, è sottoposta a continue verifiche da coloro che detengono adeguata strumentazione tecnologica. Per finire la verità storica, supportata da testimonianze “tramandate” di padre in figlio ovvero  da affermazioni “diadiche” o a fatti  irripetibili che non possono avere riscontri matematici o scientifici.
C’è poi l’attendibilità del singolo, quella che ciascuno assegna alle varie verità  che derivano dalla natura o dalla conoscenza di esse.
La “verità” quella che ci incuriosisce, quella che, per  conoscere i fatti, ci fa adottare qualsiasi mezzo lecito o illecito,  mette in moto la fantasia, l’immaginazione, la creatività, ci appassiona, ci intrica di sapere. Il “sapere” quindi la certezza della verità, la conoscenza che ci può far cambiare opinione su di un fatto, di una persona; la verità prima della logica, che può spingere qualsiasi uomo a nascondersi dietro ad una maschera, ad un pseudonimo, ad un finto perbenismo ed attivare le sue personali maldicenze accusando a destra e a manca. Comportamenti che sicuramente sono spinti dalla sottigliezza di “figuri” entusiasti di un mezzo “banalizzante del confronto” come i social network  o nascondere vera e propria mala fede di chi, viene ammonito che dice solo idiozie, mostrando volontà a  respingere il confronto.
In queste congiunture il favoloso “popolo internauta” coglie l’attimo fuggente e grida: “barabba, barabba”. Perché non gli interessa la verità, non gli interessa cosa abbia spinto un personaggio pubblico ad allontanarsi dalla “poltrona”, non lo incuriosisce cosa una persona possa aver detto, o cercare di capirlo. Gli interessa solo ridire ciò che attira più la curiosità: il FANGO; 5 caratteri che fondano la demarcazione tra l’attenzione e l’approfondimento.
Atteggiamenti che interessano gran parte del popolo; condizionati da una sistema meschino che ha indotto, gran parte dei cittadini, a convivere in un clima di “PAURA”, di sottosviluppo, di abbandono.
Questa è la constatazione che molti di noi confondono ciò che vedono o leggono con la “verità” ovvero  l’esperienza del non sapere  e non un’esigenza di ricercare la  verità che nessuna menzogna può  appagare.

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