“La locuzione latina Quid est veritas?,
tradotta letteralmente, significa "Che cosa è la verità?".
La frase si trova nella Vulgata, per la precisione nel Vangelo secondo Giovanni , ed è
pronunciata da Ponzio Pilato durante
il suo interrogatorio a Gesù. In
questo passo Pilato chiede a Gesù di confermare la sua dichiarazione di "rendere testimonianza alla verità". Dopo di ciò, Pilato proclama alle masse di
non riscontrare in Gesù nessuna colpa.
Allora Pilato gli disse: «Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici; io sono re. Per questo io sono
nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità.
Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce».
Gli dice Pilato: «Che cos'è la verità?». E detto questo uscì di nuovo verso i Giudei senza neppure aspettare che il
suo interlocutore provasse a rispondere
e disse loro: «Io non trovo in lui
nessuna colpa».”
Di risposte c’è ne sono per quanto
incuriosiscono più i pochi razionali sui “marciapiedi”, che i tanti pilati “salvagente”,
che imitano il “Prefetto” romano e non prendono una posizione. In particolare, anni di esperienze hanno generato una sorte di
classifica dei vari tipi. La “verità” più nota è quella matematica ovvero dimostrazioni
logiche e controllabili da coloro che hanno una conoscenza adeguata oppure
quella scientifica che, pur non essendo consolidata, è sottoposta a continue
verifiche da coloro che detengono adeguata strumentazione tecnologica. Per finire
la verità storica, supportata da testimonianze “tramandate” di padre in figlio
ovvero da affermazioni “diadiche” o a
fatti irripetibili che non possono avere
riscontri matematici o scientifici.
C’è poi l’attendibilità del singolo,
quella che ciascuno assegna alle varie verità che derivano dalla natura o dalla conoscenza
di esse.
La “verità” quella che ci incuriosisce,
quella che, per conoscere i fatti, ci fa
adottare qualsiasi mezzo lecito o illecito, mette in moto la fantasia, l’immaginazione, la
creatività, ci appassiona, ci intrica di sapere. Il “sapere” quindi la certezza
della verità, la conoscenza che ci può far cambiare opinione su di un fatto, di
una persona; la verità prima della logica, che può spingere qualsiasi uomo a
nascondersi dietro ad una maschera, ad un pseudonimo, ad un finto perbenismo ed
attivare le sue personali maldicenze accusando a destra e a manca.
Comportamenti che sicuramente sono spinti dalla sottigliezza di “figuri”
entusiasti di un mezzo “banalizzante del confronto” come i social network o nascondere vera e propria mala fede di chi, viene
ammonito che dice solo idiozie, mostrando volontà a respingere il confronto.
In queste congiunture il favoloso “popolo
internauta” coglie l’attimo fuggente e grida: “barabba, barabba”. Perché non
gli interessa la verità, non gli interessa cosa abbia spinto un personaggio
pubblico ad allontanarsi dalla “poltrona”, non lo incuriosisce cosa una persona
possa aver detto, o cercare di capirlo. Gli interessa solo ridire ciò che
attira più la curiosità: il FANGO; 5 caratteri che fondano la demarcazione tra
l’attenzione e l’approfondimento.
Atteggiamenti che interessano gran parte
del popolo; condizionati da una sistema meschino che ha indotto, gran parte dei
cittadini, a convivere in un clima di “PAURA”, di sottosviluppo, di abbandono.
Questa è la constatazione
che molti di noi confondono ciò che vedono o leggono con la “verità”
ovvero l’esperienza del non sapere e non un’esigenza di ricercare la verità che nessuna menzogna può appagare.
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