domenica 27 gennaio 2013

La tragedia greca e il Vangelo usati come manifesto politico


Non è chiusa superbia il mio silenzio, ma è coscienza che dilania il cuore quando ripenso come sono offeso. Chi se non io compi’ la spartizione tra i nuovi (..) dei loro privilegi? Non lo dirò. Direi a chi conosce: …ma udite la miseria dei mortali prima, indifesi e muti come infanti, e a cui diedi il pensiero e la coscienza. Parlerò senza biasimo degli uomini, ma narrerò l’amore del mio dono.  Essi avevano occhi e non vedevano, avevano le orecchie e non udivano, somigliavano a immagini di sogno, perduravano un tempo lungo e vago e confuso, ignoravano le case di mattoni, le opere del legno: vivevano sottoterra come labili formiche, in  grotte fonde, senza il sole; ignari dei certi segni dell’inverno o della primavera che fioriva o dell’estate che portava i frutti,…
Con questo passaggio, tratto da “Prometeo incatenato” di Eschilo, il sindaco Biagio Lusini risponde all’ex vicesindaco Dario Di Matteo, che invece si era ispirato ad un passo del Vangelo, secondo Matteo, per far conoscere alla cittadinanza i motivi del suo distacco dall’attuale esecutivo.
Non essendo conoscitore della tragedia greca e non avendo effettuato studi classici mi vesto di presunzione e cerco di trarne delle riflessioni:
Nelle parole fiere che Eschilo pronuncia del suo Prometeo, il Titano, incatenato a una rupe sui monti del Caucaso colpevole di  aver rubato il fuoco a Zeus per donarlo agli uomini, troviamo la consapevolezza di questo passaggio; un passaggio che segna un vero e proprio discimine nella storia della vita e l’inizio dell’umanità e della vita.
Se si entra nella mentalità dei Greci, e in particolare se si considera la loro religione, Prometeo, presentato come creatore, maestro e difensore dell’uomo, risulta colpevole, tanto più che, se Zeus non avesse punito l’imputato, molto probabilmente non sarebbe più riuscito a imporre la sua autorità agli umani, che avrebbero iniziato a ribellarsi a lui.
Non è il nostro caso perché il significato letterale è ben diverso: si parla di una persona offesa, di colui che è stato l’artefice del nuovo sistema, di colui che ha insegnato le rudimentali pratiche amministrative, colui che è stato capace di accogliere coloro  che nutrivano disapprovazione.
Dal lato umano la vicenda può anche commuovere poiché, questo Titano che subisce, per noi, queste pene severe senza considerare le sue buoni intenzioni ovvero quelle di aver emancipato dei personaggi senza mai pentirsi di averlo fatto.
La lettura politica della vicenda invece ci potrebbe trasmettere ben altro (potrebbe essere il vero motivo del distacco): il suddito ha favorito e condiviso le azioni  del leader, ma si ribella nel momento in cui  ne riconosce gli errori; prende dunque le distanze e lotta per la libertà sua e degli altri, non con le armi della violenza, ma dell’astuzia e della ragione.
Sotto questo aspetto  il Titano è oggettivamente colpevole di aver leso  il potere e violato la legge, è non colpevole ideologicamente: ha sbagliato i mezzi, ma il fine è corretto. Purtroppo risulta perdente perché usa il suo ingegno solo pragmaticamente, applicandolo all’agire e non al riflettere: aggira il prossimo nei fatti, ma non li convince a parole.
Questo non può funzionare nella politica di un nuovo regime, il cui vertice ancora teme delle ribellioni.
Di tutto questo scritto non si può tralasciare il “Titano”: Prometeo è un personaggio concreto, dalle molte e interessanti sfaccettature, è ingegnoso, creativo, astuto, dispettoso. Egli possiede al massimo grado la “mente” ovvero  l’intelligenza astuta. È in grado di congegnare piani contorti e di portarli a compimento, è  un elemento imprevedibile, a volte sleale, spesso ribelle; ma non dimentichiamo che Prometeo è uno che  “ruba” il fuoco, per donarlo agli uomini. E non penso minimamente che il sindaco Lusini,  indossando la maschera di Prometeo, abbia usato, come risposta alle motivazioni date dall’ex vicesindaco Di Matteo in merito al suo allontanamento dall’esecutivo, un passaggio del “Prometeo incatenato” senza conoscere il protagonista, infatti,  come spesso succede, non bisogna valutare le parole dette bensì riflettere su  chi le dice.

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